Aristotele - La felicità quale fine dell'etica

II fine dell'etica è la felicità, la quale coincide con quella condizione di benessere che l'uomo sperimenta quando sta bene con se stesso, con gli altri e con il proprio ambiente. Infatti, la virtù rappresenta la disposizione abituale e costante ad agire secondo ragione. Vi sono due tipi di virtù:

Le virtù dianoetiche (da diánoia, "intelletto") e le virtù etiche (da éthos, "costume",

comportamento'): le prime consistono nell'esercizio stesso della ragione e si distinguono in atte (cioè la capacità di produrre oggetti), saggezza (la capacità di agire convenientemente), intelligenza (la capacità di cogliere i principi primi), scienza (la capacità dimostrativa) e sapienza (il grado più alto della scienza); le seconde consistono nella disposizione a vivere secondo ragione, cioè a dominare, con la razionalità, gli impulsi sensibili. Esse sono, ad esempio, la moderazione, la magnanimità, la temperanza...; la virtù etica più importante è la giustizia, come vedremo trattando la politica che su di essa è fondata.

Le virtù dianoetiche culminano dunque nella sapienza, che costituisce un ideale di vita riservato a pochi in quanto è propria dei saggi e dei filosofi che si dedicano alla conoscenza disinteressata delle cose più alte e universali, bastando a se stessi e vivendo una vita serena e felice perché esente da preoccupazioni esterne e contingenti. A un grado inferiore si ha invece la saggezza, che è orientata alla vita pratica e coincide con la capacità di adattarsi alle circostanze trovando, in ogni occasione, sia il giusto mezzo sia gli strumenti per ottenere un fine giudicato buono. Essa è accessibile a tutti e rappresenta la via privilegiata per raggiungere la serenità e l'equilibrio.

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